Αναλόγιον

Seguendo una consuetudine della chiesa orientale, cantiamo attorno ad un leggìo a quattro lati ( in greco Αναλόγιον, analogion), sormontato da una croce tridimensionale verso la quale si dirigono le nostre voci e il nostro spirito. 
 
La disposizione in cerchio attorno all'analogion pone i cantori in un rapporto equidistante e orizzontale in cui la voce del singolo si appoggia a quella dei vicini, fondendosi insieme verso la croce che diventa fisicamente centro e vertice del canto.

Il cerchio dei cantori non è pertanto chiuso in se stesso ma, attraverso la Croce, si apre a tutta l'assemblea.
 
La croce tridimensionale (6 bracci che si diramano dal centro, punto di emanazione e di ricapitolazione) ha un forte valore simbolico e storico. Il cristianesimo  infatti eredita il simbolo cosmico della croce tridimensionale  dalla tradizione ebraica alessandrina, che era stata fortemente influenzata dalla cultura ellenistica. S. Paolo e i primi padri della Chiesa invitano a considerare tale simbolo come espressione della salvezza universale operata da Cristo.
Ad esso Paolo si riferisce quando dice: Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio”. (Ef 3, 17-19)

Sant’Ireneo (130-202), vescovo di Lione, commenta così il brano di Paolo:
" Lui [il Cristo] che per obbedienza alla croce ha cancellato sul legno l’antica disobbedienza, è lui stesso il Logos di Dio onnipotente, che tutti ci penetra nello stesso tempo di una presenza invisibile: per questo abbraccia il mondo intero, in ampiezza e lunghezza, in altezza e profondità. Perché solo per mezzo del Logos di Dio tutte le cose sono condotte all’ordine e il Figlio di Dio è crocifisso in esse, mentre ha imposto a tutte la sua impronta e il suo segno nella forma della croce. Non è forse giusto e appropriato che nello scegliere di rendere Se stesso visibile imprimesse a tutto ciò che è visibile la sua comunanza con il tutto attraverso la croce? Perché la sua azione doveva mostrare, tra le cose visibili e in una forma visibile, che è Lui ad illuminare le altezze, cioè il cielo, Lui a penetrare nelle profondità e nei fondamenti della terra, Lui a distendersi sulle superfici che vanno dall’oriente all’occidente, Lui a raggiungere le lontananze, dal Nord fino al Sud; perché è Lui che chiama dappertutto a raccolta quello che è disperso affinché conosca il Padre."
Epideixis, I, 34
San Clemente di Alessandria (150-212), parlando della creazione del mondo, descrive una sorta di cosmologia della croce, basata sulla simbologia del numero sette: “Da Dio, Cuore dell’Universo, partono distese infinite che si dirigono una in alto e l’altra in basso, questa a destra e quella a sinistra, una in avanti e l’altra indietro. Dirigendo il suo sguardo verso questi sei piani, come verso un numero sempre uguale, Dio compie il mondo. E’ l’inizio e la fine, l’alfa e l’omega, in lui si compiono le sei fasi del tempo, in Lui esse ricevono la loro estensione indefinita: è il segreto del numero Sette.”
Riferimenti tratti da "Il segno e il Simbolismo della Croce", Lanfranco Gianesin