ABC DEL GREGORIANO

Il canto gregoriano è un canto liturgico che ha alcune caratteristiche specifiche:

· Si canta all’unisono, il che significa che tutti cantano la stessa melodia.

· Si canta con ritmo libero, non cadenzato, secondo lo sviluppo del testo letterario e non con schemi su misura tipici della musica moderna (2/4, 3/4, 4/4, ecc.).

· è un canto modale, cioè si sviluppa su scale (modi) diverse dalle scale maggiori e minori che caratterizzano la musica successiva fino ad oggi. Questo si traduce in melodie del tutto particolari.

· I testi sono in latino, e sono ricavati dall’ Antico e Nuovo Testamento. Alcuni sono di ispirazione propria e generalmente anonima (Inni della liturgia delle ore, sequenze). Ci sono eccezioni in lingua greca (Kyrie eleison).

· E' scritto sopra un tetragramma, cioè sopra 4 linee, a differenza del pentagramma dela musica attuale. Le sue note sono quadrate e possono essere raggruppate in neumi (vedi più avanti il link alle nozioni base della notazione).

Segnaliamo un utilissimo Metodo di canto gregoriano (CLICCA) a cura della Schola Gregoriana Mediolanensis, da cui abbiamo estratto le Nozioni base (CLICCA)  della notazione gregoriana.
Nel metodo è presente un'illuminante sintesi della Spiritualità del canto gregoriano (CLICCA), qui ripresa dal sito dell'abbazia di Sant'Antimo.
Per finire, sempre dallo stesso Metodo riportiamo per esteso una breve STORIA del canto gregoriano.

Con la predicazione del Vangelo, 2000 anni fa, si diffonde anche il culto cristiano: la liturgia. Ogni regione celebra la sua liturgia e canta nella sua propria lingua. Questa differenza di lingue si è conservata fino ai nostri giorni per le liturgie mediorientali. L’occidente mediterraneo si comporta diversamente. Dopo due secoli di liturgia in greco, adotta il latino. Ogni regione dell’occidente cristiano comincia così a comporre il proprio repertorio di canti sacri: la lingua è comune ma i testi e le melodie sono differenti. Esiste un canto "beneventano" e "aquileiano" per il sud dell’Italia, "romano" per la città di Roma e le sue dipendenze, "Ambrosiano" per Milano e il nord dell’Italia, "ispanico" ai piedi dei Pirenei, "gallicano" nelle terre della Gallia romana e "celtico" per il nord ovest dell’Europa.
Di tutti questi repertori latini il solo canto ambrosiano è sopravvissuto fino ai nostri giorni. La costruzione delle grandi basiliche romane permette al culto di prendere uno slancio ed acquisire una nuova solennità. Tutte le arti vi concorrono, soprattutto il canto liturgico. Fino a quel momento gran parte del canto era riservata al solista. Dal V secolo nasce la schola cantorum composta da una ventina di chierici a servizio del canto sacro. Queste scholæ elaborano, nel corso del VVI secolo, un repertorio di canto in armonia con lo svilupparsi della liturgia. Alla fine del VI secolo la composizione del corpus delle melodie romane è compiuta.
Verso il 760 assistiamo ad un avvicinamento tra il regno franco dei pipinidi (Pipino il breve e poi il figlio Carlo Magno) e il papato (Stefano II e i suoi successori). Pipino adotterà la liturgia romana nel suo regno per assicurare una unità religiosa e, attraverso questo, consolidare l’unità politica. L’introduzione della liturgia romana implica praticamente la soppressione del repertorio dei canti gallicani, fino ad allora in uso nelle regioni franche, e la loro sostituzione con il repertorio romano. IL testo dei canti romani, consegnato per iscritto nei codici, si impone facilmente e diviene il testo di riferimento. Nonostante ciò, per la melodia non succederà la stessa cosa. L’andatura generale del canto romano e la sua architettura modale sono spesso accolti dai musicisti gallicani. Ma essi lo rivestiranno di una ornatura completamente differente: quella cui erano abituati. Al posto di una sostituzione di un repertorio assistiamo ad una ibridazione.
Bisognerà attendere un altro secolo per avere i primi codici per il canto con una notazione musicale: i primi che ci siano pervenuti sono della fine del IX secolo, ma soprattutto del corso del X secolo. Come per ogni canto liturgico dell’antichità, il nuovo repertorio nasce dalla tradizione orale. Questa tradizione però si interrompe con la soppressione di un repertorio locale e la sostituzione con un repertorio straniero (romanofranco). Questa imposizione del nuovo repertorio alla totalità dell’occidente incontra molte resistenze: in Gallia, a Milano, a Roma e in Spagna. Due elementi hanno invece influito al successo della sua diffusione: l’invenzione di un processo di scrittura della melodia
(pietra miliare nella storia della musica) e l’attribuzione della composizione del nuovo canto a uno dei personaggi più illustri dell’antichità cristiana: il papa Gregorio Magno (590) da dove verrà il nome di "canto gregoriano".
Molte cause concorreranno alla decadenza del canto gregoriano. Anzitutto il progresso della notazione, in quanto se le prime scritture non indicavano che la scansione ritmica, dopo l’apparizione progressiva delle linee, poi delle note guida e delle chiavi e infine dell’interconnessione nel sistema della portata di chiavi e note guida, le sfumature ritmiche divengono difficili da eseguire. Prima della scrittura musicale si cantava a memoria. Nei decenni che vedono l’elaborazione della notazione, si canta ancora a memoria, il solo cantore ricorre al libro per prepararsi prima della cerimonia. Una volta fissato il sistema di notazione si canta con gli occhi fissi sul libro. Poco a poco il ruolo della memoria si atrofizza. Incomincia cos| una nuova tappa della storia della musica. In seguito, nel IX secolo, si sviluppa il tropo (ovvero la sillabazione dei melismi di certi generi come l’Alleluia) che contribuisce a snaturare il ritmo. Infine la polifonia, tramite un semplice sdoppiamento alla quarta, annichilisce le virtuosità modali della melodia monodica originale, mentre lo sforzo degli interpreti per assicurare una simultaneità di esecuzione ne compromette l’agilità ritmica. Verso la fine del medio evo (XV sec.) il canto gregoriano è entrato in una fase di completa decadenza.
Nel 1833, Dom Guéranger, fondatore dell’abbazia di Solesmes, poco musicista ma uomo di gusto, affronta l’opera di restaurazione del canto gregoriano con entusiasmo. Inizia ad imporsi sull’esecuzione e chiede ai suoi monaci di rispettare, nel loro canto, il primato del testo: pronuncia, accentazione e fraseggio, per la sua comprensione al servizio della preghiera. Non è il solo a ricercare la cantilena gregoriana primitiva, ma è parte di un largo movimento di interesse per il canto sacro. E’ tuttavia a Solesmes che la restaurazione assume la dimensione scientifica richiesta. I primi studi di comparazione tra i manoscritti antichi, portati avanti da Dom Jausions, furono continuati da Dom Pothier. È Dom Mocquerau che svilupperà questa impresa scientifica costituendo una collezione di facsimile dei principali manoscritti di canto racchiusi nelle biblioteche europee. Creò inoltre anche l’atelier e la pubblicazione di "Paleografia Musicale" (1889). Ma la restaurazione del canto gregoriano non è finita perché il Concilio Vaticano II (19631965) a richiesto "una edizione più critica dei libri di canto già editi". Per portare a buon fine questa missione, i ricercatori di oggi sono poderosamente aiutati dalle opere di Dom Cardine. E’ grazie a lui, che sono state chiarito le leggi che reggono la scrittura dei neumi primitivi, gettando le basi di una "Edizione Critica del graduale Romano".
La parola "restaurazione" non sta a significare solo l’affinamento nella restituzione melodica dei pezzi ma ha la pretesa di ridare spazio al canto gregoriano nella liturgia viva di una assemblea. Ci sono altresì intere comunità che si dedicano alla restaurazione del canto gregoriano, ma in maniera nascosta, e senza la minima pretesa musicologica.