- perché il canto gregoriano, cantando la Parola di Dio, diviene una vera "Lectio divina" cantata, nella quale è permessa più che in altre forme di canto sacro la lettura, meditazione e contemplazione della Parola.
- perché "un discepolo del Regno dei Cieli è simile ad un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche". Alla luce del Vangelo, anche in liturgia ci sembra che possano trovare spazio forme musicali nuove e antiche, nella logica dell'et-et e non già dell'aut-aut. Non può difatti esistere un vero, consapevole e maturo rinnovamento senza un legame concreto e vivo con la tradizione.
- perché “la Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della Liturgia” (Sacrosanctum Concilium, 116). Se è così, è del tutto naturale che il gregoriano debba avere un ruolo attivo nella liturgia che, ameno episodicamente, vada al di dà del repertorio base costituito dalla messa De Angelis e poco altro (Veni Creator-Tantum ergo-Salve Regina).